Biografia
Torna a FiorGenLucca 2014"La materia non è soltanto il mezzo con cui si esplicano le sensazioni, ma una sostanza sensibile o impressionabile che delle sensazione fa propria l'estensione e la durata". G. C. Argan, Fautrier. Metiere et memoire.
È dall'esigenza di confrontarsi con la materia che nascono le opere presentate da Giuseppe Lafavia.
Ed è un confronto pacifico, una ricerca serena, che non va mai ad intaccare quell'accordo armonico di colori e spazi che l'artista compone in ogni suo lavoro e che è la radice profonda della sua identità pittorica.
Il nuovo elemento è osservato con attenzione, è messo alla prova il suo confluire nell'Insieme; Lafavia ne declina il ritmo, il corpo, la vibrazione.
In alcune tele l'approccio è più impetuoso, istintivo.
La ricerca elimina lo spazio per concedere tutto al gesto, all'alchimia materia-colore-necessità interiore, in attesa di una collisione feconda che dia corpo al nuovo spirito.
E ciò avviene. L'artista comprende la nuova struttura espressiva, si fida, ne distingue la natura, è la Sua e può parlare di lui.
La colloca di nuovo nello spazio.
Il Fondo ritorna; a contenere, a circoscrivere, a rendere unità e compiutezza, a rifinire, come un pentagramma su cui scrivere la nuova sinfonia.
La materia è diventata un "super-colore", ha trovato la sua verità pittorica che dà alla tela una nuova fisicità; le superfici non sono più lisce ma ruvide, permeabili, e questa densità tattile crea un terreno sul quale è più difficile per lo sguardo scivolare via.
La materia trattiene e prolunga il sentire.
Universi cromatici che sembrano mutare caleidoscopicamente ad ogni nostro sguardo.
La composizione è complessa, piena, sonora; sposta un solo elemento e la brillantezza si offusca, e l'artista smette di "essere lì".
Una pittura di stati d'animo, di un'eleganza che resta sempre naturale, mai ridondante, che non si cristallizza ma procede nel suo farsi espressione.
C'è un aspetto della Pittura di Giuseppe Lafavia che mi ha coinvolto sin dall'inizio, una contingenza che subito ho notato e che è trasversale a tutta la sua Produzione: in ogni tela c'è un punto/luogo fisico, preciso, circoscritto, che cattura i miei occhi e che mi avvince.
Lo trovo, immediatamente, ed esso diviene il centro di tutta l'opera, la chiave dell'insieme, intorno al quale improvvisamente tutta la composizione inizia ad orbitare e in esso si conclude ed inizia.
Roland Barthes teorizzava il punctum come "quella fatalità in cui l'opera mi punge"; io ritrovo questa circostanza, puntuale e certa, in ogni tela.
É una macchia di colore, uno strappo, una sfumatura, che genera quell' "efficace contatto con l'anima" di cui parlava Kandinsky, "che permette di entrare nell'opera, di diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi".
Silvia Conforti
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